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Dottie Dodgion: la batterista che ha sfidato le convenzioni (e gli stereotipi…) del jazz

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Brea, California, 23 settembre 1929

17 settembre 2021

Dottie Dodgion, nata Dorothy Rosalie Giaimo nel 1929, si afferma come una delle figure più influenti e sottovalutate del jazz. Cresce in California in una famiglia segnata da difficoltà economiche, e trova nella musica un rifugio che la conduce a una carriera straordinaria. Con un talento naturale per il ritmo e una dedizione assoluta, Dottie supera gli ostacoli di una cultura maschilista, diventando una pioniera nel mondo del jazz.

Gli inizi: la musica come rifugio

Dottie vive un’infanzia difficile. Suo padre, batterista autodidatta, abbandona la famiglia dopo pochi anni dalla sua nascita. Mandata in collegio dalla madre, trova conforto alle sue sofferenze nella danza. A dieci anni, sopravvissuta ai terribili traumi familiari, scopre nel ritmo una forma di guarigione e di libertà.

La relazione viscerale con la musica si manifesta fin da adolescente, quando inizia a cantare in band locali. A sedici anni si esibisce professionalmente con il chitarrista Nick Esposito.

Nel 1948, Charles Mingus, uno dei più grandi contrabbassisti del jazz, la scopre e la guida verso uno stile vocale unico, basato sulla vocalizzazione di fonemi anziché parole: il cosiddetto scat, in cui Dottie eccelle.

La transizione alla batteria

Negli anni Cinquanta Dottie passa dal canto alla batteria, incoraggiata da musicisti come Eugene Wright, membro della Dave Brubeck Quartet. Nonostante le difficoltà, incluse le obiezioni del primo marito Monty Budwig, sviluppa uno stile unico, caratterizzato da un senso del tempo “affilato come un rasoio,” come lo descrive la cantante Carol Sloane. Diventa una presenza costante nei jazz club della Bay Area, collaborando con icone come Miles Davis e Dizzy Gillespie.

La sua abilità non passa inosservata… Benny Goodman la assume come batterista nel 1961, ma la licenzia quando il pubblico inizia ad acclamarla maggiormente rispetto al leader della band. Questo episodio riflette le sfide che l’artista deve affrontare mentre cerca di emergere in un mondo che raramente celebra le donne musiciste.

Le collaborazioni al femminile

Uno dei momenti più significativi della carriera di Dottie è la sua partecipazione a Now’s The Time (1977), l’album registrato con Marian McPartland (piano), Mary Osborne (chitarra), Vi Redd (sax) e Lynn Milano (contrabbasso). Questo progetto evidenzia non solo il suo talento, ma anche l’importanza delle collaborazioni tra donne in un’industria rivelatasi più esclusiva che inclusiva.

Negli anni Sessanta e Settanta, Dottie lavora con altre figure femminili di spicco come Melba Liston (trombone) e Carline Ray (pianista, chitarrista), diventando un modello per le future generazioni di musiciste, tra cui la batterista Terri Lyne Carrington, che riconosce Dottie come una delle sue principali ispirazioni.

Dottie Dodgion con la chitarrista Mary Osborn e la sassofonista Vi Redd al Kansas City Women’s Jazz Festival (1978)

Gli ultimi anni e l’eredità

Fino ai novant’anni Dottie continua a suonare regolarmente a Pebble Beach, in California. Anche dopo una caduta che le causa la frattura di una spalla, non smette di esibirsi: quando non può più suonare la batteria, canta. La sua ultima esibizione risale al marzo 2020, poco prima dell’interruzione causata dalla pandemia di COVID-19.

Dottie muore il 17 settembre 2021, pochi giorni prima del suo 92º compleanno. La sua autobiografia, “The ladyswings: memoirs of a jazz drummer“, scritta con Wayne Enstice e pubblicata pochi mesi prima della sua morte, diventa un tributo alla sua vita straordinaria.

Il consiglio di Dottie per i musicisti era: “Non lasciate che l’ego si metta in mezzo. Pensate al suono complessivo più che a voi stessi. Ascoltate gli altri, molto di più”.

Per scoprire la musicalità di Dottie Dodgion, ti propongo un paio di ascolti racchiusi nei suoi album più celebri: Dottie Dodgion Sings e Dot’s Bop/Penny (singoli). Ogni nota è un testamento della sua passione e della sua resilienza.

Dal primo disco ho scelto Dancing in the dark (Arthur Schwartz, Howard Dietz), dove emerge il suo scat sferzante, tagliente e finemente controllato:

Dot’s bop è invece un vibrante pezzo bebop composto dalla stessa Dottie:

In quest’intervista la batterista e cantante rivela alcuni aneddoti e i consigli ricevuti dal padre:

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